LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       Seconda sezione civile 
 
    composta dagli ill.mi signori magistrati: 
        dott. Stefano Petitti - Presidente; 
        dott. Guido Federico - consigliere; 
        dott. Alberto Giusti - consigliere; 
        dott. Antonello Cosentino - rel. consigliere; 
        dott. Milena Falaschi - consigliere, 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
9298-2010 proposto da: 
        Barozzi Ennio, elettivamente domiciliato in Roma,  via  Paolo
Emilio n. 7, presso lo studio dell'avvocato Achille  Chiappetti,  che
lo rappresenta e difende unitamente agli  avvocati  Giovanni  Arieta,
Renato   Sirna,   Elisa   Bonzani;    ricorrente    e    c/ricorrente
all'incidentale; 
    Contro Consob - Commissione nazionale per le societa' e la borsa,
in persona  del  Presidente  e  legale  rappresentante  pro  tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via G.B. Martini n. 3,  presso  lo
studio dell'avvocato Fabio Biagianti, che la  rappresenta  e  difende
unitamente  agli  avvocati  Rocco  Vampa,  Maria   Letizia   Ermetes;
controricorrente con ricorso incidentale condizionato; 
    Avverso la sentenza n. 265/2009 della Corte d'appello di Brescia,
depositata il 25 febbraio 2009; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
14 settembre 2017 dal Consigliere dott. Antonello Cosentino; 
    Udito il pubblico ministero in persona del Sostituto  procuratore
generale dott. Lucio Capasso che  ha  concluso  per  il  rigetto  del
ricorso principale e per l'assorbimento del ricorso incidentale; 
    Uditi  gli  avvocati  Achille  Chiappetti  e   Giovanni   Arieta,
difensori  del  ricorrente,  che  hanno  chiesto  l'accoglimento  del
ricorso principale ed il rigetto dell'incidentale; 
    Uditi gli avvocati Fabio Biagianti e Rocco Vampa, difensori della
controricorrente e  ricorrente  incidentale,  che  hanno  chiesto  il
rigetto  del  ricorso  principale  e   l'accoglimento   del   ricorso
incidentale condizionato. 
Premessa 
    1. - Il Collegio e' investito dell'esame di un  ricorso  proposto
contro una  sentenza  con  cui  la  Corte  d'appello  di  Brescia  ha
rigettato l'opposizione a  un  provvedimento  sanzionatorio  adottato
dalla Commissione nazionale per le societa' e la borsa  -  Consob  in
fattispecie  di   abuso   di   informazioni   privilegiate   commesso
dall'insider secondario. 
    Con tale provvedimento sanzionatorio la Consob  ha  applicato  la
sanzione  amministrativa  pecuniaria  di  €  216.402,   la   sanzione
accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi nonche' la confisca per equivalente di beni  di  proprieta'
del trasgressore per un valore di € 6.182.919. 
    La violazione sanzionata e' stata commessa nell'anno 2002, quando
l'abuso  di   informazioni   privilegiate   dell'insider   secondario
costituiva reato  ai  sensi  dell'art.  180,  comma  2,  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria - TUF). 
    La pena comminata per tale reato era la  reclusione  fino  a  due
anni e la multa da venti a seicento  milioni  di  lire.  Era  inoltre
prevista la confisca diretta dei mezzi, anche finanziari,  utilizzati
per commettere il reato e dei beni che ne costituiscono  il  profitto
(salvo che essi appartenessero a persona estranea al reato). 
    L'art. 9 della legge 18 aprile  2005,  n.  62  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee - legge  comunitaria  2004)  ha  depenalizzato
tale   condotta,   trasformandola   in    illecito    amministrativo;
contestualmente, riformulando l'art. 187-bis del TUF, ne ha  previsto
la punizione con una sanzione pecuniaria da euro ventimila a euro tre
milioni (sanzione poi quintuplicata  dall'art.  39,  comma  3,  della
legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante «Disposizioni per  le  tutela
del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari»), nonche' - ove
non  sia  possibile  la  confisca  diretta  -  con  la  confisca  per
equivalente, disciplinata dall'art. 187-sexies del TUF. 
    In particolare, l'art. 9, comma 6, della stessa legge n.  62  del
2005 ha aggiunto che, limitatamente agli illeciti  depenalizzati,  la
confisca per equivalente si applica anche  alle  violazioni  commesse
anteriormente all'entrata in vigore  della  legge  n.  62  del  2005,
purche' il procedimento penale non sia stato definito. 
    2. - All'esito dell'udienza pubblica svoltasi il 5  giugno  2015,
questa Corte di cassazione,  con  ordinanza  14  settembre  2015,  n.
18028, ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  degli
articoli 187-sexies del decreto legislativo n.  58  del  1998,  e  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, in riferimento agli articoli  3,
25,  secondo  comma,  e  117,  primo   comma,   della   Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  7  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    L'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998 e l'art.
9, comma 6, della legge n. 62 del 2005  sono  stati  impugnati  nella
parte in cui prevedono che la confisca  per  equivalente  si  applica
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della legge n. 62 del 2005, che le ha depenalizzate. 
    3. - La Corte costituzionale, con sentenza n.  68  del  2017,  ha
dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale. 
    La Corte costituzionale ha ritenuto: 
        inammissibile la questione sollevata in riferimento  all'art.
3 della Costituzione, perche' priva di motivazione; 
        inammissibile  la  questione  avente   per   oggetto   l'art.
187-sexies del decreto legislativo  n.  58  del  1998,  perche'  tale
disposizione non ha la portata lesiva che il  giudice  rimettente  le
attribuisce. Infatti - ha sottolineato il giudice delle leggi  -  «la
norma  in  questione  si  limita  a  disciplinare  la  confisca   per
equivalente, mentre e' soltanto all'art. 9, comma 6, della  legge  n.
62 del 2005 che va attribuita la scelta del  legislatore  di  rendere
questo istituto di applicazione retroattiva,  dando  cosi'  luogo  al
dubbio di costituzionalita' che ha animato il giudice a quo»; 
        inammissibile la questione di costituzionalita' dell'art.  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, perche' basata  «su  un  erroneo
presupposto interpretativo», ossia «sulla base di una  considerazione
parziale della complessa vicenda normativa verificatasi nel  caso  di
specie». L'ordinanza di rimessione ha «omesso  di  tenere  conto  del
fatto che la natura penale, ai sensi dell'art.  7  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, del  nuovo  regime  punitivo  previsto  per  l'illecito
amministrativo   comporta   un   inquadramento   della    fattispecie
nell'ambito della successione delle leggi  nel  tempo  e  demanda  al
rimettente il compito di verificare in concreto  se  il  sopraggiunto
trattamento  sanzionatorio,  assunto  nel  suo  complesso  e   dunque
comprensivo della confisca per equivalente, si renda,  in  quanto  di
maggior favore, applicabile al fatto pregresso,  ovvero  se  esso  in
concreto denunci un carattere maggiormente  afflittivo.  Soltanto  in
quest'ultimo caso, la cui  verificazione  spetta  al  giudice  a  quo
accertare e adeguatamente motivare, potrebbe venire in considerazione
un dubbio sulla legittimita' costituzionale  dell'art.  9,  comma  6,
della legge n. 62 del 2005, nella  parte  in  cui  tale  disposizione
prescrive  l'applicazione  della  confisca  di  valore  e  assoggetta
pertanto il reo a una sanzione penale, ai  sensi  dell'art.  7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, in concreto piu' gravosa di quella che sarebbe
applicabile in base alla legge vigente  all'epoca  della  commissione
del fatto». 
    4. - Ripreso il processo e discussa la causa all'udienza  del  14
settembre 2017, con la presente ordinanza di rimessione la  Corte  di
tassazione propone, nell'ambito dello  stesso  giudizio  a  quo,  una
nuova  questione  di  legittimita'  costituzionale,  nei  termini  di
seguito precisati, limitandola all'art. 9, comma 6, della legge n. 62
del  2005,  reimpostando  il  petitum  e  integrando  la  motivazione
dell'ordinanza di  rinvio  si'  da  eliminare  i  vizi  e  le  lacune
riscontrati  dalla  Corte  costituzionale,  e  che  avevano  impedito
l'esame nel merito del dubbio sollevato. 
Descrizione dei fatti di causa 
    1. - In data  8  gennaio  2003  il  Presidente  delta  Consob  ha
segnalato alla Procura della Repubblica di Milano il  presunto  reato
di abuso di informazioni privilegiate  -  di  cui  all'art.  180  del
decreto legislativo n. 58 del 1998 - per avere Emilio Gnutti, Ornella
Pozzi, Maurizia Gallia, Ennio  Barozzi,  Romeo  Liberini,  Antonietta
Comensoli e Osvaldo Savoldi acquistato obbligazioni UNIPOL  2000-2005
2,25% e UNIPOL 2000-2005 3,75%, nel corso dell'anno 2002. 
    Il Tribunale di Milano, con sentenza  n.  10597  del  19  ottobre
2005, ha prosciolto gli imputati (ad eccezione di Emilio  Gnutti)  in
ragione della  depenalizzazione  del  reato  contestato,  avvenuta  a
seguito dell'entrata in vigore della legge  n.  62  del  2005,  e  ha
trasmesso gli atti alla Consob. 
    La Consob, ritenuta  accertata  la  violazione  di  cui  all'art.
187-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 58 del 1998,  dopo  aver
disposto a carico di Ennio Barozzi la misura del sequestro di beni di
sua pertinenza, fino al  raggiungimento  del  valore  equivalente  al
prodotto  dell'illecito,  ha  applicato  a  carico  del  medesimo  la
sanzione  amministrativa  pecuniaria  di  €  216.402,   la   sanzione
accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi ex art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del  1998,
nonche', ai sensi dell'art. 187-sexies dello stesso TUF, la  confisca
di beni di sua proprieta' per un valore di € 6.182.919. 
    2. - Ennio Barozzi ha proposto  opposizione  dinanzi  alla  Corte
d'appello di Brescia; la Consob si e'  costituita  e  ha  chiesto  il
rigetto dell'opposizione. 
    3. - Con sentenza depositata il 25 febbraio 2009,  l'adita  Corte
d'appello ha rigettato l'opposizione. 
    La Corte territoriale ha escluso che  la  depenalizzazione  abbia
portato ad un aggravio  della  sanzione  applicata  al  trasgressore,
rilevando che la nuova disciplina, conseguente alla riforma del 2005,
e' piu' favorevole rispetto alla  precedente,  giacche'  la  condotta
integra  un  illecito  amministrativo   punito   con   una   sanzione
amministrativa pecuniaria e non piu' un  delitto  per  il  quale  era
prevista anche la pena della  reclusione.  La  Corte  di  Brescia  ha
altresi' escluso  l'incostituzionalita'  della  retroattivita'  della
confisca per equivalente, e cio' data la sua natura amministrativa. I
principi di legalita' e  di  irretroattivita'  -  hanno  affermato  i
giudici  di  appello  -  sono  oggetto  di  copertura  costituzionale
soltanto per  la  materia  penale,  sicche'  il  legislatore,  quanto
all'illecito depenalizzato di abuso di informazioni privilegiate, ben
puo' prevedere lo strumento della confisca per equivalente anche  per
i comportamenti precedenti alla entrata in vigore della legge  n.  62
del 2005, non configurandosi in tal  modo  nessuna  violazione  della
legge 24 novembre 1981, n. 689. 
    4. - Per La Cassazione della sentenza della  Corte  d'appello  il
Barozzi ha proposto ricorso, affidato a nove motivi. 
    La Consob ha  resistito  con  controricorso  e  ha  a  sua  volta
proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi. 
    Il  ricorrente  principale  ha  resistito  con  controricorso  al
ricorso incidentale.  Entrambe  le  parti  hanno  depositato  memoria
difensiva. 
    5.  Con  il  primo  motivo  di  ricorso  Ennio  Barozzi  denuncia
violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 5 e 11 della  legge
n. 689 del 1981 e dell'art. 187-bis, comma 5, del decreto legislativo
n. 58 del 1998, cosi' come introdotto dall'art. 9 della legge  n.  62
del 2005. 
    Nel ritenere legittima la  sanzione  pecuniaria  applicata  dalla
Consob, la Corte d'appello avrebbe addebitato a ciascun incolpato  la
complessiva  operazione  di  acquisto   delle   obbligazioni,   cosi'
prescindendo dal piano  individuale  di  valutazione  della  gravita'
della condotta e dell'elemento soggettivo, apprezzando  una  gravita'
d'insieme   della   condotta   in   spregio   al   principio    della
responsabilita'  personale  e  della  rilevanza  della   personalita'
dell'agente  e  delle  sue  condizioni  economiche  ai   fini   della
determinazione della sanzione. 
    Con il secondo motivo, il Barozzi  denuncia  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-bis del  decreto  legislativo  n.  58  del
1998, in relazione agli articoli 3, 5 e 12 della  legge  n.  689  del
1981, nonche' omessa e contraddittoria  motivazione.  La  censura  si
riferisce  alla  dichiarata  sussistenza,  da   parte   della   Corte
d'appello, di un concorso di persone nel medesimo  illecito,  pur  se
nella ricostruzione della vicenda la stessa Corte ha rilevato che  le
condotte significative erano state poste  in  essere  prevalentemente
dalla Gallia (assistente di Gnutti). In sostanza, la Corte  d'appello
si sarebbe  limitata  a  indagare  in  ordine  alla  unitarieta'  del
contesto temporale  e  spaziale  nel  quale  maturarono  gli  eventi,
desumendone la sostanziale riferibilita' della condotta ad  un  unico
agente, ma imputando l'illecito a piu' persone in  asserito  concorso
tra loro. 
    Con il terzo motivo  il  ricorrente  deduce  violazione  e  falsa
applicazione degli articoli 117 e 97 della Costituzione con  riguardo
alla direttiva 2003/6/CE del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio;
solleva altresi' questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
187-bis del decreto legislativo n. 58 del 1998, per violazione  degli
articoli 117 e 97 della Costituzione,  in  relazione  alla  direttiva
2003/6/CE del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  con  relativa
istanza di rimessione  della  questione  alla  Corte  costituzionale,
nonche' contraddittoria motivazione sul punto. Il ricorrente si duole
del fatto che la Corte d'appello abbia ritenuto «congrua e  adeguata»
la misura della sanzione pecuniaria  irrogata  dalla  Consob  in  suo
danno e sostiene che vi sarebbe stata la violazione dei principi  del
diritto comunitario, vincolanti per il giudice nazionale ex art. 117,
primo comma, della Costituzione. In particolare, il ricorrente rileva
che, nel mentre la citata direttiva prescrive che le  sanzioni  siano
sufficientemente  dissuasive  e  che  a  tal  fine   debbano   essere
proporzionate alla gravita' della violazione e agli utili  realizzati
e applicate coerentemente (considerando n. 38) e  tiene  distinte  le
ipotesi in cui la provenienza  dell'informazione  sia  legata  a  una
professione o a una funzione e quella in cui la  fonte  sia  connessa
allo svolgimento di attivita' criminali (considerando n. 17),  ovvero
ancora l'ipotesi in cui l'abuso delle informazioni  venga  effettuato
sapendo  o   dovendo   sapere   del   loro   carattere   privilegiato
(considerando n. 18), il  legislatore  nazionale  avrebbe  accomunato
nell'unico  trattamento  sanzionatorio  piu'  condotte  di  abuso  di
informazioni privilegiate diverse tra loro. L'art. 187-bis del TUF  -
rileva il ricorrente - prevede  la  medesima  sanzione  edittale  per
l'insider primario, per l'insider in grado di operare  a  seguito  di
attivita' delittuose, per gli insider secondari che agiscono  con  la
consapevolezza della natura  privilegiata  della  informazione  della
quale dispongono e per gli insider secondari che agiscono con  colpa,
dovendo  conoscere  in  base  all'ordinaria  diligenza  il  carattere
privilegiato  della  informazione.  Inoltre,  a  tutte  le  categorie
considerate viene applicato lo stesso regime  di  aggravamento  della
sanzione (comma 5). 
    Con il quarto mezzo il  ricorrente  lamenta  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-sexies, comma 2, del  decreto  legislativo
n. 58 del 1998, per avere la Corte d'appello disatteso  il  principio
tempus regit  actum,  avendo  applicato  retroattivamente  l'istituto
della confisca per equivalente di cui  all'art.  9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005, vale a dire una normativa meno  favorevole  per
l'autore della condotta rispetto a quella vigente  al  momento  della
commissione del fatto. 
    Il quinto motivo riguarda  la  violazione  e  falsa  applicazione
dell'art. 187-sexies, comma 2, del decreto legislativo n. 58 del 1998
e dell'art. 9, comma  6,  della  legge  n.  62  del  2005,  anche  in
relazione agli articoli 3  e  25  della  Costituzione.  Con  esso  il
ricorrente eccepisce l'illegittimita'  costituzionale  del  combinato
disposto dell'art. 187-sexies, comma 2, del TUF e dell'art. 9,  comma
6, della legge n. 62 del 2005, in relazione  agli  articoli  3  e  25
della Costituzione e all'art. 117 della Costituzione, per  violazione
dell'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Secondo il ricorrente, la confisca per  equivalente  difetterebbe
della finalita' di prevenzione  tipica  delle  misure  di  sicurezza,
essendo diretta a privare il reo  di  qualsiasi  beneficio  economico
derivante  dal  comportamento  criminoso,   aggredendo   anche   beni
manchevoli del carattere della pericolosita' e della  pertinenza  con
l'illecito stesso. 
    Con il sesto motivo  il  ricorrente  deduce  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-octies, comma 3, lettera  d),  del  TUF  e
dell'art. 9, comma 6,  della  legge  n.  62  del  2005,  prospettando
l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli
ora richiamati,  in  relazione  agli  articoli  3,  25  e  117  della
Costituzione,  quest'ultimo   come   conseguenza   della   violazione
dell'art. 7 Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,  con  relativa  istanza  di
rimessione alla Corte costituzionale.  La  complessiva  doglianza  si
riferisce alla natura di «misura penale a carattere  preventivo»  del
sequestro dei beni che possono formare oggetto di  confisca  ex  art.
187-sexies  del  TUF,  con  la   conseguente   illegittimita'   della
applicazione  retroattiva  dell'istituto,  nonche'   all'incompetenza
dell'Ufficio  di   Procura   della   Repubblica   che   ha   disposto
l'autorizzazione del sequestro per equivalente. 
    Con il settimo motivo di ricorso il Barozzi deduce  violazione  e
falsa applicazione dell'art.  1  della  legge  n.  689  del  1981  ed
eccepisce l'illegittimita' costituzionale degli articoli  187-sexies,
comma 2, del decreto legislativo n. 58 del 1998, e 9, comma 6,  della
legge n. 62 del 2005, per violazione dell'art. 3 della Costituzione e
dei principi di ragionevolezza, legalita'  e  irretroattivita'  delle
sanzioni amministrative ex art. 1 della legge n. 689 del 1981. 
    L'ottavo  mezzo  concerne  la  denuncia  di  violazione  e  falsa
applicazione degli articoli 187-bis, comma 5, e 187-sexies, comma  2,
del decreto legislativo  n.  58  del  1998,  anche  in  relazione  ai
principi sanciti nella direttiva 2003/6/CE del Parlamento  europeo  e
del   Consiglio;   con   esso   viene    eccepita    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del
1998, anche in combinato disposto con  l'art.  187-bis  dello  stesso
decreto legislativo, per violazione dell'art. 117 della Costituzione. 
    Con il nono motivo di ricorso il Barozzi  denuncia  violazione  e
falsa applicazione dell'art. 187-bis del decreto  legislativo  n.  58
del 1998, anche in combinato disposto con l'art. 187-sexies, comma 2,
TUF,  in  relazione  all'art.  14  della  direttiva   2003/6/CE   del
Parlamento europeo e del Consiglio; solleva questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del
1998, anche in combinato disposto con il  citato  art.  187-bis,  per
violazione  degli  articoli  117,  3  e  97  della  Costituzione.   A
conclusione del motivo il ricorrente formula il  quesito  di  diritto
se, in sede di determinazione della sanzione dell'illecito  di  abuso
di informazioni privilegiate, di cui all'art. 187-bis del testo unico
della finanza, l'autorita' irrogante debba attenersi -  alla  stregua
di quanto disposto dall'art. 14 della direttiva 2003/6/CE - anche  al
rispetto  del  criterio  della  proporzionalita'  delle  sanzioni  in
concreto applicate e se queste  ultime  debbano  intendersi  come  il
complesso delle penalita' amministrative  irrogate  all'insider,  ivi
compresa la misura della confisca per equivalente. 
    8. - Il ricorso incidentale condizionato della Consob e' affidato
a due motivi. 
    Con il primo  motivo,  la  Consob  denuncia  violazione  e  falsa
applicazione degli articoli 19, 20, 22 e 23 della legge  n.  689  del
1981, dell'art. 100 del codice di procedura  civile,  degli  articoli
187-sexies, 187-septies e 187-octies del decreto  legislativo  n.  58
del 1998,  nonche'  violazione  dei  principi  generali  in  tema  di
interesse ad  agire,  legitimatio  ad  processum  e  principio  della
domanda, criticando la sentenza nel capo in cui la Corte d'appello ha
esaminato  il  motivo  di  opposizione  relativo  al  sequestro,  pur
reputandolo infondato in relazione a ciascuna  censura  sollevata  da
parte ricorrente. 
    Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la Consob  denuncia
altra violazione e falsa applicazione degli articoli 19, 20, 22 e  23
della legge n. 689 del 1981, dell'art. 100 del  codice  di  procedura
civile, degli  articoli  187-sexies,  187-septies  e  187-octies  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, nonche' violazione  dei  principi
generali in tema di interesse ad agire, legitimatio  ad  processum  e
principio della domanda,  sostenendo  l'inammissibilita'  del  motivo
inerente il sequestro sotto  il  diverso  profilo  della  carenza  di
interesse, per il Barozzi, nel formulare  un  motivo  di  opposizione
avente ad oggetto vizi propri del sequestro, non idonei  a  confutare
il successivo potere, riservato in capo alla Consob,  di  emanare  il
provvedimento di confisca. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    1. - Con il provvedimento sanzionatorio adottato dalla Consob  e'
stata applicata, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria  di  €
216.402 e alla sanzione  accessoria  dell'interdizione  dagli  uffici
direttivi per un periodo di nove mesi, la misura della  confisca  per
equivalente di beni di proprieta' del trasgressore per un valore di €
6.182,919, giudicata legittima dalla Corte d'appello. 
    Tra i motivi di ricorso per cassazione vi  e'  la  illegittimita'
dell'applicazione  della  misura  della  confisca  per   equivalente,
introdotta dalla legge n. 62 del 2005, perche'  i  fatti  sono  stati
commessi in epoca anteriore all'entrata in vigore di tale legge. 
    La premessa da cui muove il ricorrente e'  che  la  confisca  per
equivalente abbia natura, non di misura di  sicurezza  con  finalita'
preventive, ma di misura con connotati  sostanzialmente  sanzionatori
afflittivi, sicche' la stessa non potrebbe  trovare  applicazione  se
non con riguardo a illeciti amministrativi commessi dopo  la  entrata
in  vigore  della  legge  n.  62  del  2005;  essa   sarebbe   quindi
inapplicabile nel caso di  specie,  in  quanto  i  fatti  di  insider
trading contestati sono stati commessi nel 2002. 
    2. -  Il  Collegio  esclude  di  poter  giungere  gia'   in   via
interpretativa  a  dichiarare  l'illegittimita'  della  misura  della
confisca. 
    Infatti,  la  pretesa  del  ricorrente  di   affermare   la   non
applicabilita', nel caso di specie, della confisca per equivalente di
cui  all'art.  187-sexies  del  TUF,  trova  un  ostacolo   letterale
insuperabile nella disposizione di cui all'art.  9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005, il quale prevede espressamente l'applicabilita'
delle disposizioni della parte  V,  titolo  I-bis,  del  testo  unico
approvato con il decreto legislativo  n.  58  del  1998  «anche  alle
violazioni commesse anteriormente alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge che le ha depenalizzate, quando il relativo  procedimento
penale non sia stato definito». 
    3. - Ritiene questo giudice a quo  che  nondimeno  si  ponga,  in
riferimento agli articoli 3, 25, secondo  comma,  117,  primo  comma,
della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  un  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, nella parte in  cui
prevede che  la  confisca  per  equivalente,  disciplinata  dall'art.
187-sexies del TUF, si applica, allorche' il procedimento penale  non
sia stato definito, anche alle violazioni commesse anteriormente alla
data di entrata in vigore della stessa legge n. 62 del 2005 - che  le
ha depenalizzate introducendo l'autonomo illecito  amministrativo  di
abuso di informazioni privilegiate, configurato ora dall'art. 187-bis
del TUF - e cio' pur quando il complessivo trattamento  sanzionatorio
generato  attraverso  la  depenalizzazione  sia  in   concreto   meno
favorevole di quello  applicabile  in  base  alla  legge  vigente  al
momento della commissione del fatto. 
    4. -  Occorre  premettere  che  la  misura  della  confisca   per
equivalente in questione ha un contenuto sostanzialmente  afflittivo,
che eccede la finalita' di  prevenire  la  commissione  di  illeciti,
perche' non colpisce  beni  in  «rapporto  di  pertinenzialita'»  con
l'illecito. 
    La giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte e' univoca
in tal senso con  riferimento  alle  disposizioni  che  prevedono  la
confisca per equivalente quale misura  applicabile  a  seguito  della
commissione di specifici  reati  per  i  quali  la  detta  misura  e'
espressamente prevista. Cassazione pen., Sez. II, n. 31988  del  2006
ha cosi' affermato  che,  nel  caso  in  cui  il  delitto  di  truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche sia costituito
da piu' violazioni commesse prima e dopo l'entrata  in  vigore  della
legge che ha previsto per detto reato l'applicazione  della  confisca
per equivalente, questa  misura  puo'  riguardare  esclusivamente  le
violazioni commesse successivamente all'entrata in vigore della legge
stessa. In questa medesima direzione, Cassazione pen.,  Sez.  U.,  n.
18374  del  2013  ha  affermato  che  la  confisca  per  equivalente,
introdotta per i reati tributari dall'art. 1, comma 143, della  legge
n. 244 del 2007, ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non
essendo estensibile ad essa  la  regola  dettata  per  le  misure  di
sicurezza dall'art. 200 del codice penale, non si  applica  ai  reati
commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge citata. 
    Soprattutto, e' la giurisprudenza della  Corte  costituzionale  a
riconoscere la natura prevalentemente afflittiva e  sanzionatoria  di
questa peculiare forma di confisca. Le ordinanze n. 97 del 2009 e  n.
301 del 2009 hanno infatti affermato che la confisca per  equivalente
prevista dall'art. 322-ter del codice penale non  puo'  avere  natura
retroattiva, perche' - «in ragione della  mancanza  di  pericolosita'
dei beni che ne costituiscono oggetto, unitamente all'assenza  di  un
'rapporto di pertinenzialita' (inteso come nesso diretto,  attuale  e
strumentale) tra il reato ed  i  beni»  -  da'  luogo  a  una  misura
«'eminentemente sanzionatoria', tale da impedire  l'applicabilita'  a
tale misura patrimoniale del principio generale della  retroattivita'
delle misure di sicurezza, sancito dall'art. 200 del codice  penale».
E - con specifico riferimento alla confisca per equivalente  prevista
dall'art. 187-sexies del TUF - la sentenza n. 68  del  2017  ha  gia'
statuito che «[essa] si applica a beni  che  non  sono  collegati  al
reato da un  nesso  diretto,  attuale  e  strumentale,  cosicche'  la
privazione imposta al reo risponde  ad  una  finalita'  di  carattere
punitivo, e non preventivo», precisando che «lo stesso legislatore si
mostra consapevole del tratto afflittivo  e  punitivo  proprio  della
confisca  per  equivalente,   al   punto   da   non   prevederne   la
retroattivita' per i fatti che continuano a  costituire  reato  (art.
187 del decreto legislativo n. 58 del 1998)». 
    4.1.  La  soluzione,  ad  avviso  del  Collegio,  non   muta   in
considerazione  del  fatto  che,  nella  specie,  la   confisca   per
equivalente e' prevista quale sanzione  accessoria  per  un  illecito
amministrativo. 
    Infatti, alla confisca per equivalente  prevista  per  l'illecito
amministrativo di abuso  di  informazioni  privilegiate  deve  essere
assegnata natura  penale  ai  sensi  dell'art.  7  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, in quanto essa  svolge  «con  tratti  di  significativa
afflittivita' una funzione punitiva» (Corte costituzionale,  sentenza
n. 68 del 2017). 
    Del  resto,  le  nozioni  di  sanzione  penale  e   di   sanzione
amministrativa non possono essere desunte, semplicemente,  dal  nomen
iuris utilizzato  da  legislatore,  ne'  dall'autorita'  chiamata  ad
applicarla, ma devono essere  ricavate,  in  concreto,  tenuto  conto
delle finalita' e della portata del precetto sanzionatorio  di  volta
in volta contemplato. La preoccupazione di evitare che singole scelte
compiute  da  taluni   degli   Stati   aderenti   alla   Convenzione,
nell'escludere che un determinato  illecito  ovvero  una  determinata
sanzione  restrittiva   appartengano   all'ambito   penale,   possano
determinare un surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che
la Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali riserva alla materia penale, e' alla base
dell'indirizzo interpretativo che, fin dalle sentenze 8 giugno  1976,
Engel c. Paesi Bassi, e 21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania,  ha
portato la Corte europea dei diritti  dell'uomo  all'elaborazione  di
propri  criteri,  in   aggiunta   a   quello   della   qualificazione
giuridico-formale  attribuita  nel  diritto  nazionale,  al  fine  di
stabilire la natura penale o meno di un  illecito  e  della  relativa
sanzione.  Tali  criteri  sono  stati  individuati  nella   rilevante
severita' della sanzione, nell'elevato importo di questa inflitto  in
concreto  e  comunque  astrattamente  irrogabile,  nelle  complessive
ripercussioni  sugli  interessi  del  condannato,   nella   finalita'
sicuramente repressiva. 
    E, proprio in applicazione  di  quei  criteri,  la  stessa  Corte
europea (sentenza  307A/1995,  Welch  c.  Regno  Unito)  ha  ritenuto
assistita dalla garanzia dell'art. 7 della Convenzione l'applicazione
di una confisca  di  beni  riconducibile  proprio  ad  un'ipotesi  di
confisca per equivalente; e (sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c.
Italia) ha riconosciuto carattere penale alle  sanzioni  per  insider
trading qualificate dal nostro diritto interno come amministrative. 
    Va inoltre ricordato che la Corte costituzionale, con riferimento
all'applicazione  retroattiva  di'   disposizioni   che   introducono
sanzioni amministrative, ha richiamato, con la sentenza  n.  104  del
2014, il principio, gia' enunciato dalla sentenza n.  196  del  2010,
secondo il quale tutte le  misure  di  carattere  punitivo-afflittivo
devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale
in  senso  stretto.  Si  tratta  di  un  principio   di   derivazione
convenzionale, ma desumibile anche dall'art. 25, secondo comma, della
Costituzione: infatti, il precetto costituzionale -  data  l'ampiezza
della sua formulazione - «puo' essere interpretato nel senso che ogni
intervento sanzionatorio,  il  quale  non  abbia  prevalentemente  la
funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia  riconducibile  -
in senso stretto  -  a  vere  e  proprie  misure  di  sicurezza),  e'
applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia'  vigente
al momento della commissione del fatto sanzionato»  (sempre  sentenze
n. 196 del 2010 e n. 104 del 2014). 
    Deve  inoltre  aggiungersi  che,  come  ha  chiarito   la   Corte
costituzionale (sentenze n. 49 del 2015, n. 68 del 2017 e n. 109  del
2017), le sanzioni che il legislatore costruisce come  amministrative
restano tali nel nostro ordinamento, ma sono ulteriormente  assistite
dalle garanzie previste dall'art. 7 della Convenzione europea per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  ove
abbiano carattere sostanzialmente penale alla luce della Convenzione.
L'adozione di criteri sostanziali per la  definizione  della  materia
penale e' funzionale ad una piu' ampia garanzia dell'individuo:  essa
si  muove  infatti  «nel   segno   dell'incremento   delle   liberta'
individuali, e mai del loro detrimento (...),  come  invece  potrebbe
accadere  nel  caso  di  un  definitivo  assorbimento   dell'illecito
amministrativo  nell'area  di  cio'  che  e'  penalmente   rilevante»
(sentenza n. 68 del 2017). 
    5.  -  Ad  avviso   del   Collegio,   e'   l'intero   trattamento
sanzionatorio  introdotto  dalla  legge   di   depenalizzazione   per
l'illecito amministrativo di abuso di  informazioni  privilegiate  di
cui al nuovo art. 187-bis del TUF a rivestire natura  sostanzialmente
penale, integrando esso i caratteri di afflittivita' delineati  dalla
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  dato
l'elevato importo della sanzione prevista. 
    6. - Ritiene questo giudice a quo che la confisca per equivalente
sia  legittimamente  applicabile  ai  fatti  pregressi  di  abuso  di
informazioni   privilegiate,   senza   dar   luogo   a    dubbi    di
costituzionalita', solo quando il nuovo trattamento sanzionatorio per
l'illecito   depenalizzato,    complessivamente    e    unitariamente
considerato, possa  ritenersi  non  peggiorativo  rispetto  a  quello
precedentemente previsto. 
    Invero,  come  ha  chiarito  la  Corte  costituzionale   con   la
richiamata  sentenza  n.  68  del  2017,  «il  passaggio  dal   reato
all'illecito  amministrativo,  quando  quest'ultimo  conserva  natura
penale   ai   sensi   dell'art.   7   della   Convenzione,   permette
l'applicazione retroattiva del nuovo regime punitivo soltanto  se  e'
piu' mite di quello precedente. In tal caso, infatti, e solo  in  tal
caso, nell'applicazione di una pena sopravvenuta, ma in concreto piu'
favorevole,  non  si  annida  alcuna  violazione   del   divieto   di
retroattivita', ma una scelta in favore del reo». Non  in  ogni  caso
e', quindi, costituzionalmente vietato applicare retroattivamente  la
confisca  per   equivalente.   «Infatti,   qualora   il   complessivo
trattamento sanzionatorio generato  attraverso  la  depenalizzazione,
nonostante la previsione di tale confisca,  fosse  in  concreto  piu'
favorevole di quello applicabile in base  alla  pena  precedentemente
comminata, non vi sarebbero ostacoli costituzionali a  che  esso  sia
integralmente disposto». 
    6.1. - Il dubbio di legittimita'  costituzionale  risiede  invece
nella previsione  di  applicabilita'  -  assoluta,  incondizionata  e
inderogabile  -  della  confisca  per  equivalente,  quand'anche   il
complessivo risultato sanzionatorio risultante dalla riforma  sia  in
concreto meno favorevole per il trasgressore rispetto  a  quello  che
sarebbe applicabile  in  base  alla  legge  vigente  all'epoca  della
commissione del fatto. 
    7. -  Al  fine  di  stabilire  quale  sia  il  trattamento   piu'
favorevole in tema di successione di leggi incriminatrici nel  tempo,
la giurisprudenza penale di questa  Corte  ha  enunciato  i  seguenti
principi: 
        la  disposizione  piu'  favorevole  deve  essere  individuata
tenendo conto della disciplina nel suo complesso e non di  singoli  e
specifici aspetti della stessa (Cass. pen.,  Sez.  III,  sentenza  n.
14198 del 2016); 
        deve aversi riguardo al complessivo trattamento sanzionatorio
scaturente dall'applicazione della legge  preesistente  o  di  quella
sopravvenuta senza che si possa procedere ad una  combinazione  delle
disposizioni piu'  favorevoli  della  nuova  legge  con  quelle  piu'
favorevoli della vecchia, in quanto cio' comporterebbe  la  creazione
di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella  in
vigore, occorrendo invece applicare integralmente  quella  delle  due
che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla  vicenda  concreta
oggetto di giudizio, piu' vantaggiosa per il reo  (Cass.  pen.,  Sez.
III, n. 23274 del 2004); 
        l'individuazione del regime di maggior favore per il  reo  ai
sensi dell'art. 2 del codice penale deve essere operata in  concreto,
comparando le diverse discipline sostanziali  succedutesi  nel  tempo
(Cass. pen., Sez. IV, n. 49754 del 2014). 
    7.1. - Va precisato che il principio  dell'efficacia  retroattiva
della norma sopravvenuta piu' favorevole implica che, qualora  questa
sia in concreto meno  favorevole,  debba  applicarsi  la  precedente,
ancorche' non piu' in vigore. 
    Cio' non puo' accadere nel caso della  depenalizzazione,  perche'
all'autorita'  amministrativa  non  e'  consentito  in   alcun   modo
applicare la sanzione penale, anche se  in  ipotesi  piu'  favorevole
rispetto a quella amministrativa (sostanzialmente penale). 
    Inoltre,  il  giudice  penale,  in  presenza  di  un'ipotesi   di
successione  di  leggi  penali  nel  tempo,  nell'individuare   quale
trattamento in concreto si  presenti  piu'  favorevole,  deve  tenere
conto di tutti gli istituti  propri  del  diritto  penale,  quali  la
sospensione  condizionale  della  pena,  la  conversione  della  pena
detentiva in pena pecuniaria, l'indulto, la prescrizione del reato. 
    Nel  caso  in  esame,  pertanto,  il  confronto  tra  le  diverse
discipline non puo' che assumere un carattere peculiare,  trattandosi
di  ordinamenti  sanzionatori  diversi,  l'uno   penale   e   l'altro
amministrativo, che possono essere  posti  sullo  stesso  piano  solo
perche' il secondo va considerato sostanzialmente penale alla stregua
della convenzione EDU. 
    7.2. - Ora, ponendo a raffronto  i  due  quadri  sanzionatori  in
successione, emerge quanto segue. 
    Il complessivo trattamento sanzionatorio per il delitto di  abuso
di informazioni privilegiate, previsto al momento  della  commissione
del fatto dall'art. 180 del decreto legislativo n. 58 del  1998,  era
della reclusione fino a due anni, congiunta con la multa da  venti  a
seicento milioni di lire, cui doveva aggiungersi la confisca soltanto
in forma diretta. 
    La condanna,  inoltre,  ai  sensi  ai  sensi  dell'art.  182  del
medesimo  decreto  legislativo  n.  58  del  1998  (allora  vigente),
comportava sempre l'applicazione delle pene accessorie previste dagli
articoli 28, 30, 32- bis e 32-ter del codice penale  per  una  durata
non inferiore a sei mesi e non  superiore  a  due  anni,  nonche'  la
pubblicazione della sentenza su almeno due  quotidiani,  di  cui  uno
economico, a diffusione nazionale. 
    Era  prevista,  inoltre,  la  possibilita'  per  il  giudice   di
aumentare  la  multa  fino  al  triplo  quando,  per   la   rilevante
offensivita'  del  fatto,  le  qualita'  personali  del  colpevole  o
l'entita' del profitto che ne era derivato, essa appariva  inadeguata
anche se applicata nel massimo. 
    Il trattamento sanzionatorio di cui all'art. 9 della legge n.  62
del 2005 consiste, invece, nella sanzione  amministrativa  pecuniaria
da euro ventimila a euro tre milioni  di  cui  all'art.  187-bis  del
decreto legislativo  n.  58  del  1998  (non  potendosi  tener  conto
dell'ulteriore modifica apportata dall'art. 39, comma 3, della  legge
n. 262 del 2005 che ha quintuplicato la sanzione). 
    Anche in questo caso il comma 5 del citato art.  187-bis  prevede
che le sanzioni possano essere aumentate fino al  triplo  o  fino  al
maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto  conseguito
dall'illecito quando, per le qualita' personali del colpevole  ovvero
per l'entita' del prodotto o del profitto  conseguito  dall'illecito,
esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo. 
    Inoltre ai sensi dell'art. 187-quater del decreto legislativo  n.
58 del 1998 sono previste le sanzioni amministrative accessorie della
perdita temporanea dei requisiti di onorabilita'  per  gli  esponenti
aziendali ed i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle
societa' di  gestione  del  mercato,  nonche'  per  i  revisori  e  i
promotori finanziari e,  per  gli  esponenti  aziendali  di  societa'
quotate,  dell'incapacita'  temporanea  ad  assumere   incarichi   di
amministrazione,  direzione  e  controllo  nell'ambito  di   societa'
quotate e di societa' appartenenti al  medesimo  gruppo  di  societa'
quotate per una durata non inferiore a due mesi e non superiore a tre
anni. 
    Infine, ai sensi del  successivo  art.  187-sexies,  e'  prevista
l'ulteriore sanzione accessoria della confisca  del  prodotto  o  del
profitto dell'illecito e  dei  beni  utilizzati  per  commetterlo  e,
qualora non sia possibile eseguire  tale  confisca,  la  stessa  puo'
avere ad oggetto somme di denaro, beni o  altre  utilita'  di  valore
equivalente. 
    7.2. - Nei fenomeni di depenalizzazione  finora  non  si  e'  mai
posto il problema dell'applicabilita' del principio di retroattivita'
della norma piu' favorevole: essendosi, da un lato,  sempre  ritenuto
che tale principio non trovi applicazione nel  campo  delle  sanzioni
amministrative, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 689 del  1981,  e
presumendosi,   dall'altro,   che   il   trattamento    sanzionatorio
successivo, per la sua stessa natura amministrativa,  sia  sempre  da
considerare piu' favorevole  rispetto  a  quello  precedente,  avente
natura penale. 
    Anche in questo caso, con l'art. 9, comma 6, della  legge  n.  62
del 2005, il legislatore ordinario muove  dalla  presunzione  che  la
sanzione amministrativa sia sempre piu' favorevole di quella  penale,
perche'  soltanto  quest'ultima  ha  un  contenuto  stigmatizzante  e
normalmente ha o puo' avere un'incidenza sulla liberta' personale. 
    Ma si tratta di una postulato che non e' esatto  in  assoluto,  e
che non lo e' nell'ipotesi all'esame del Collegio rimettente. 
    L'affermazione secondo la quale la  pena  detentiva  deve  sempre
considerarsi come piu' gravosa rispetto  a  quella  pecuniaria  trova
significative eccezioni nei casi in cui la stessa pena detentiva  non
possa  essere  eseguita  per  effetto  dell'applicazione   di   altri
istituti, come, ad esempio, la sospensione condizionale della pena ex
art. 163 e ss. del codice penale Secondo la giurisprudenza di  questa
Corte, infatti, in tema di successione di leggi penali, con  riguardo
ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace (nella specie
si  trattava  del  delitto  di  lesioni),  non  puo'  applicarsi   il
trattamento  sanzionatorio  previsto   dall'art.   52   del   decreto
legislativo n. 274 del 2000, ancorche' in  linea  di  principio  piu'
favorevole, qualora sia stata concessa  la  sospensione  condizionale
della  pena,  in   quanto   il   successivo   art.   60,   escludendo
esplicitamente la concessione del beneficio della pena sospesa, rende
in concreto le nuove disposizioni meno favorevoli all'imputato (Cass.
pen., Sez. V, n. 7215 del 2006; Cassazione pen., Sez. V, n. 46793 del
2004). 
    7.3. - Deve precisarsi che, nella specie, non emerge  dagli  atti
l'esistenza di situazioni impeditive della concessione, in favore del
ricorrente, della sospensione condizionale della pena. 
    Dunque, nei suoi confronti, la pena  detentiva  di  due  anni  di
reclusione era ragionevolmente destinata a rimanere  condizionalmente
sospesa, e quindi non eseguita, o, qualora fosse rimasta  nel  limite
di sei mesi, ad essere convertita in pena pecuniaria  in  una  misura
estremamente  ridotta  (secondo  il  criterio  di  ragguaglio  allora
vigente). 
    Inoltre il ricorrente avrebbe potuto beneficiare dell'indulto  di
cui alla legge n. 241 del 2006. 
    Tutto cio' premesso, dal punto di vista  del  ricorrente,  se  si
guarda alla reale carica di afflittivita' della sanzione, e'  agevole
rendersi conto che questi si e' visto sottratta  la  possibilita'  di
usufruire del beneficio della  sospensione  condizionale  della  pena
(che si estende anche alle pene accessorie), della conversione  della
pena detentiva in pena pecuniaria (che avrebbe portato ad  una  multa
inferiore perfino rispetto a quella inflittagli con la sola  sanzione
amministrativa pecuniaria applicata in via  principale,  senza  tener
conto  della  ulteriore  sanzione  accessoria  della   confisca   per
equivalente),  e  dell'indulto;  soprattutto,  alla  fattispecie  non
sarebbe stata applicabile la sanzione accessoria della  confisca  per
equivalente ex art. 186-sexies del TUF. 
    Nei suoi confronti, dunque, l'applicazione della sanzione  penale
in concreto sarebbe stata  piu'  favorevole  rispetto  alla  sanzione
pecuniaria amministrativa irrogata, oggetto di certa riscossione,  di
ammontare  massimo  notevolmente  superiore  e,  si  ribadisce,   con
l'aggiunta di una sanzione accessoria del tutto nuova,  imprevedibile
ed estremamente gravosa quale quella della confisca  per  equivalente
per un valore pari a € 6.182.919. 
    Per il  trasgressore  incensurato,  pertanto,  l'applicazione  ai
fatti pregressi della nuova ipotesi della  confisca  per  equivalente
determina un trattamento sanzionatorio per  l'illecito  depenalizzato
complessivamente piu' sfavorevole. 
    7.4. - Questa valutazione trova conferma nel  trattamento  penale
applicato al concorrente nel reato, Emilio Gnutti, insider  primario,
il quale ha riferito la notizia privilegiata all'odierno ricorrente. 
    Come risulta  dalla  documentazione  prodotta  dalla  difesa  del
ricorrente   -   ammissibile   in   quanto    rilevante    ai    fini
dell'individuazione in concreto del  trattamento  piu'  favorevole  -
Gnutti e' stato condannato con sentenza del Tribunale di  Milano  del
25 ottobre 2006 alla pena della reclusione di sei mesi e al pagamento
di € 100.000 di multa con pena sospesa.  Questa  pronuncia  e'  stata
parzialmente riformata dalla  Corte  d'appello  di  Milano  che,  con
sentenza pronunciata in data  12  novembre  2007  sull'accordo  delle
parti, ritenuta la continuazione tra i fatti oggetto del  giudizio  e
altri reati giudicati con pregressa sentenza della Corte d'appello di
Brescia irrevocabile dal 10 luglio  2006,  ha  rideteminato  la  pena
complessiva a suo carico  in  €  140.520  di  multa,  ferma  la  pena
accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici  e  dagli
uffici direttivi delle persone  giuridiche  e  della  incapacita'  di
contrattare con la pubblica amministrazione per un anno e  due  mesi.
La pena e' stata calcolata partendo da una pena base di mesi  sei  di
reclusione - reclusione convertita, ai sensi dell'art.  53  legge  n.
689 del 1981, in 6.840 euro di multa e aumentata fino  ad  €  20.520,
pari al triplo della pena convertita ex articoli 133-bis  del  codice
penale, 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 e  180,  comma
4, decreto legislativo n. 58 del 1998 - ed € 120.000 di multa. 
    La stessa Corte d'appello, successivamente, in sede di  incidente
di esecuzione, ha ridotto la suddetta pena a 10.000 euro di multa, in
applicazione dell'indulto di cui alla legge n. 241 del 2006. 
    Pertanto,    il     complessivo     trattamento     sanzionatorio
dell'originario  concorrente  nel  reato,  Emilio   Gnutti,   si   e'
concretizzato nella complessiva multa di € 10.000, nonostante  questi
fosse  l'insider  primario,  la   cui   condotta   doveva   ritenersi
necessariamente  piu'  grave  di  quella  del  ricorrente,  tanto  da
continuare ad essere penalmente rilevante. 
    La Consob,  invece,  all'esito  del  procedimento  sanzionatorio,
ritenuta sussistente  la  violazione  di  cui  all'art.  187-bis  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, ha  applicato  al  ricorrente  la
sanzione  amministrativa  pecuniaria  di  €  216.402,   la   sanzione
accessoria dell'interdizione degli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi ex art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del  1998,
nonche', ai sensi  dell'art.  187-sexies  del  medesimo  decreto,  la
confisca per equivalente di beni di sua proprieta' per un valore di €
6.182.919. 
    8. - A parere di questo collegio cio' che risulta determinante ai
fini  della   valutazione   di   maggiore   gravosita'   e'   proprio
l'applicazione retroattiva della sanzione accessoria  della  confisca
per equivalente ex art. 186-sexies  decreto  legislativo  n.  58  del
1998, sanzione non  prevista  e  non  prevedibile  al  momento  della
consumazione dell'illecito. 
    Tale   sanzione   accessoria,   infatti,   determina   una   tale
sproporzione nella pena complessivamente inflitta, rispetto a  quella
che sarebbe scaturita  dall'applicazione  del  citato  art.  180  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, da rappresentare  l'elemento  che
rende in concreto maggiormente afflittivo il complessivo  trattamento
sanzionatorio derivante dalla legge di depenalizzazione. 
    In  altri  termini,  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
risiede nel fatto che la previsione  dell'applicabilita'  -  in  modo
incondizionato, inderogabile e non graduabile -  della  confisca  per
equivalente rende il  complessivo  risultato  sanzionatorio  previsto
dalla riforma, in concreto, meno favorevole per il trasgressore. 
    A parere del Collegio, una volta eliminata  l'applicazione  della
confisca per equivalente ai fatti antecedenti la sua introduzione, il
trattamento sanzionatorio amministrativo  (anche  se  nella  sostanza
penale) che residua, riacquista quella valenza complessiva di maggior
favore naturalmente correlata alle sanzioni amministrative rispetto a
quelle corrispondenti penali. 
    Il Collegio non ritiene, infatti, di poter condividere l'assunto,
prospettato nella memoria e nella discussione orale della  difesa  di
parte  ricorrente,  secondo  cui  dovrebbe  attribuirsi   valore   di
principio  generale,   immanente   alla   disciplina   di   qualunque
depenalizzazione, alla disposizione recata dall'art. 8, comma 3,  del
decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (il quale recita: «Ai fatti
commessi prima della data di entrata in vigore del  presente  decreto
non puo' essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria  per
un importo superiore al massimo della pena  originariamente  inflitta
per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'art.
135 del codice penale. A tali fatti  non  si  applicano  le  sanzioni
amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo  che
le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie.»). 
    Al riguardo il Collegio osserva  che  non  vi  sono  ragioni  per
ritenere che tale disposizione - che detta la disciplina  transitoria
della depenalizzazione recata dal decreto legislativo n. 8 del 2016 -
esprima un principio  di  carattere  generale  idoneo  a  fungere  da
tertium comparationis nel vaglio di legittimita' costituzionale delle
difformi discipline transitorie dettate da altre, e precedenti, leggi
di depenalizzazione. 
    Cio' posto, va considerato che la comparazione  tra  la  sanzione
penale e quella amministrativa non puo'  risolversi  in  una  stretta
equiparazione quantitativa, in  quanto  la  sanzione  penale  ha  una
pluralita' di effetti negativi, incidendo  con  forza  peculiare  non
soltanto sulla liberta', ma anche sul  complessivo  profilo  pubblico
della persona, segnandolo  con  lo  «stigma»  del  disvalore  sociale
derivante da una sentenza  di  condanna  del  giudice  penale  (basti
pensare   al   rilievo,   anche   pratico,   della   condizione    di
incensuratezza). 
    Nel caso dell'insider  secondario,  dunque,  la  sanzione  penale
risulterebbe   in   concreto   meno   favorevole    della    sanzione
amministrativa pecuniaria, pur quantitativamente  piu'  elevata,  ove
quest'ultima  non  risultasse  accompagnata  anche   dalla   sanzione
accessoria della confisca per equivalente. 
    9.  -   Di   qui   la   sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli articoli 3,  25,  secondo  comma,
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, dell'art. 9, comma 6,  della
legge n. 62 del 2005, nella parte  in  cui  prescrive  l'applicazione
della confisca di valore e assoggetta pertanto il trasgressore a  una
sanzione penale in  concreto  piu'  gravosa  di  quella  che  sarebbe
applicabile in base alla legge vigente  all'epoca  della  commissione
del fatto. 
    Ad  avviso  del  Collegio,  il  contrasto  con  l'art.  3   della
Costituzione   si   profila   in   riferimento   al   principio    di
ragionevolezza, per eccesso di contenuto sanzionatorio rispetto  allo
scopo della retroattivita' della nuova disciplina sanzionatoria,  che
era di evitare che rimanessero impunite, nella fase transitoria della
depenalizzazione,  condotte  comunque  illecite,  laddove  l'aggiunta
della retroattivita' della confisca per  equivalente  costituisce  un
aggravamento  sproporzionato  non  destinato  a  trovare  la  propria
giustificazione nel riempimento del vuoto punitivo. 
    Secondo questo giudice  a  quo,  la  norma  denunciata  contrasta
inoltre con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Infatti, in
base al precetto costituzionale,  ogni  intervento  sanzionatorio  e'
applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia'  vigente
al  momento  della  commissione  del  fatto  sanzionato.  Invece,  il
legislatore ha imposto di applicare retroattivamente la confisca  per
equivalente solo perche' si riferisce a un illecito qualificato  come
amministrativo   nell'ordinamento   interno,   mentre,   nel   regime
transitorio, avrebbe potuto consentirne l'applicazione  -  versandosi
in un'ipotesi di depenalizzazione accompagnata  dall'introduzione  di
un corrispondente illecito amministrativo -  soltanto  ove  la  nuova
sanzione completi un trattamento  sanzionatorio  nel  complesso  piu'
mite della pena prevista per l'originario reato. 
    Infine, il dubbio  di  non  manifesta  infondatezza  sussiste  in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione all'art. 7 della  convenzione  europea,  perche'  la  norma
censurata prescrive l'applicazione  retroattiva  della  confisca  per
equivalente  -  «pena»  secondo  la  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,  e
quindi ricompresa  nel  nucleo  delle  garanzie  che  la  convenzione
riconosce  all'individuo  in  materia  penale  -  anche  qualora   il
complessivo trattamento sanzionatorio per  l'illecito  amministrativo
sia  meno  favorevole  in   concreto   del   precedente   trattamento
sanzionatori applicabile al reato. 
    10. -  La  questione  sollevata  e'  rilevante  ai   fini   della
definizione del ricorso per cassazione. 
    10.1. - Innanzitutto perche' l'impugnato art. 9, comma  6,  della
n. 62 del 2005 e' la norma applicabile  nel  processo.  I  motivi  di
ricorso per cassazione  investono,  infatti,  anche  la  legittimita'
dell'applicazione retroattiva della confisca per  equivalente  ad  un
fatto di abuso di informazioni privilegiate commesso nel 2002, ed  e'
appunto la norma censurata a prevedere l'applicazione di tale  misura
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della legge di depenalizzazione. 
    10.2. - In secondo  luogo  perche'  dall'esito  del  giudizio  di
costituzionalita' dipende la sorte di alcuni dei motivi  del  ricorso
per cassazione. 
    10.3. - Infine - sempre sul piano della rilevanza -  il  Collegio
evidenzia  che  la  questione  relativa   alla   legittimita'   della
applicazione della confisca presenta  il  requisito  dell'attualita',
non essendo superata dal deposito, ai sensi dell'art. 372 del  codice
di procedura civile, della sentenza con la quale il GUP del Tribunale
di Bologna ha dichiarato non  luogo  a  procedere  nei  confronti  di
Giovanni Consorte e di  Ivano  Sacchetti  in  ordine  al  reato  loro
ascritto  per  il  reato  di  abuso  di   informazioni   privilegiate
nell'ambito della stessa vicenda del prestito obbligazionario Unipol,
perche' il fatto non sussiste. 
    Occorre  premettere  che  il  ricorrente  sostiene   bensi'   che
l'avvenuta assoluzione dei due imputati perche' il fatto non sussiste
comporterebbe  il  venir   meno   dell'elemento   costitutivo   della
fattispecie, consistente nella informazione privilegiata  e,  poiche'
l'informazione  in   questione   sarebbe   la   stessa   oggetto   di
contestazione  nel   presente   giudizio   a   titolo   di   illecito
amministrativo, ritiene che, per effetto del principio dell'efficacia
riflessa del giudicato, dovrebbe  pervenirsi  alla  cassazione  della
sentenza impugnata per insussistenza dell'illecito. 
    Sennonche',  tale  assunto  non  e'  condivisibile  per   diverse
ragioni. 
    In primo luogo osta alla configurabilita'  stessa  dell'efficacia
riflessa della sentenza emessa in un giudizio penale, la disposizione
di cui all'art. 187-duodecies del decreto legislativo n. 58 del 1998,
a norma del quale «il procedimento amministrativo di  accertamento  e
il procedimento  di  opposizione  di  cui  all'art.  187-septies  non
possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente
ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento  dipende  la
relativa definizione». Premesso che non rilevano,  nella  specie,  le
problematiche concernenti la possibilita' della applicazione  di  una
doppia sanzione - amministrativa e penale - per il medesimo  fatto  a
carico del medesimo soggetto, la richiamata  disposizione  stabilisce
un  regime  di  assoluta  autonomia   tra   procedimento   penale   e
procedimento sanzionatorio amministrativo, sicche' risulta esclusa la
possibilita' stessa di far  valere  nel  procedimento  amministrativo
l'efficacia della pronuncia adottata in sede penale; senza dire  che,
nel  caso  di  specie,  non  ricorre  neanche   una   situazione   di
opponibilita' a Consob della pronuncia adottata  in  sede  penale  in
considerazione del fatto che Consob non risulta essere stata parte di
quel procedimento. 
    Osta,  inoltre,  alla  esplicazione  di  qualsivoglia   efficacia
dell'invocato giudicato nel  presente  giudizio  il  rilievo  che  le
condotte contestate in sede penale,  lungi  dall'essere  identiche  a
quelle oggetto della contestazione della  Consob,  sono  diverse,  in
ragione  delle  qualita'  soggettive  rivestite  dagli  imputati  nel
processo penale e dal ricorrente nel presente giudizio. 
    Infine, la sussistenza dell'illecito deve, nel presente giudizio,
ritenersi coperta dal  giudicato.  Invero,  nessuno  dei  motivi  del
ricorso principale contesta  l'accertamento  in  fatto  svolto  dalla
Corte d'appello e la conclusione alla quale essa e'  pervenuta  circa
la natura privilegiata delle informazioni utilizzate. Il  ricorrente,
invero, ha posto in discussione esclusivamente  i  profili  attinenti
all'aspetto  sanzionatorio,  dubitando   della   legittimita'   delle
sanzioni irrogategli.